Da un'indagine condotta in tutta Europa risulta che l'Italia, dopo la Grecia, è il paese dove si consumano più antibiotici in famiglia, negli ospedali e negli allevamenti animali, ma non sempre in modo appropriato.
Comuni malattie infettive da tempo sotto controllo tornano ad essere una minaccia, interventi chirurgici anche banali possono diventare un pericolo per la vita dei pazienti, degenze prolungate con rischio di gravi infezioni ospedaliere, medici disarmati nel dover scegliere una terapia efficace, poca osservanza delle più elementari norme igieniche: è lo scenario che va delineandosi a causa della crescente diffusione di superbatteri geneticamente modificati e resistenti alle terapie antibiotiche.
Nel 2050, se non s'interverrà in tempo, le infezioni per resistenza agli antibiotici, potrebbero diventare sia nei Paesi evoluti che in quelli poveri la prima causa di morte, con oltre 10 milioni di decessi l'anno. Il grido d'allarme dell'Organizzazione mondiale della sanità risale a dieci anni fa, ma la situazione è peggiorata poiché finora non si sono prese le necessarie contromisure.
L'argomento è stato affrontato di recente a Roma, presso l'Istituto superiore di sanità, da esperti nei diversi settori della medicina. Tutti si sono trovati d'accordo nel sostenere la ricerca e la disponibilità di nuovi farmaci e vaccini.
“Lo scenario evidenzia come sia necessario un impegno comune e una collaborazione proficua tra società scientifiche e aziende farmaceutiche - dichiara Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato diMsd Italia - Da parte nostra si è pensato all'erogazione di 50 borse di studio a giovani ricercatori italiani per svolgere il loro lavoro su Hcv, Hiv e infezioni fungine presso autorevoli centri del nostro Paese”.